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E’ semplicissimo trovare in rete siti che offrono abbonamenti a Disney+, Netflix, Spotify, Youtube Premium a prezzi ridicoli; si parla di 2, 3 Euro al mese, e in certi casi anche meno.

La prima domanda è: ma funziona? Oh si, funziona benissimo.

La seconda domanda è: ma è legale? In qualche caso si, ma non è così semplice.

Si tratta di una zona grigia delle regole di utilizzo dei vari servizi online, che lasciano un certo margine di manovra all’interno della gestione dell’account.

La maggior parte dei servizi prevede la possibilità di sottoscrivere un abbonamento di tipo “famiglia”, in modo da poter utilizzare il servizio con diversi account in maniera indipendente; tutto sta nell’interpretazione della parola “famiglia” o “nucleo familiare”.
Per come la vedo io, famiglia viene intesa come nucleo familiare, quindi va bene con mogli, figli, cugini e fratelli, ma non “amici” o “colleghi di lavoro” che famiglia non sono.

Quindi, per tornare all’argomento: come funziona tutta la faccenda?

Semplice, esistono dei siti che non fanno altro che offrire una mediazione fra chi possiede un account di tipo familiare e desidera condividerlo per dividere la spesa mensile (o annuale).
Questi siti guadagnano sulla commissione che applicano ad ogni nuovo iscritto, roba di spiccioli che però, moltiplicata per qualche migliaio di utenti, consente di raggranellare somme non trascurabili.
Le varie policy di utilizzo dei servizi di streaming specificano che la rivendita o l’affitto dell’account non è consentito per nessuno, né per il proprietario dell’account né per persone terze (sia fisiche che aziende), ma in effetti qui non si tratta di rivendere o affittare un servizio, ma di favorirne la condivisione fra diversi utenti.

Quindi, la società che si occupa di fare la mediazione, non rivende l’account in sé ma solo il servizio che consente di mettere in contatto i proprietari degli account con chi desidera condividere la spesa, quindi, tecnicamente, le policy di utilizzo sono ampiamente rispettate.

Dal punto di vista legale, in sostanza, tutto a posto; l’unico problema è di tipo morale.

E’ evidente che se tutti facessero così, i servizi di streaming andrebbero rapidamente in perdita, in quanto offrirebbero i loro contenuti ad una platea molto più grande (nell’ordine delle 3 o 4 volte circa) senza averne i relativi ricavi.
A differenza di ciò che poteva accadere con i sistemi di trasmissione pre-internet, ogni connessione in più ad un servizio di streaming è effettivamente un aumento di risorse impiegate, e risorse = denaro.

Vuol dire che i server che offrono i contenuti in streaming lavorano molto di più, e quindi costano di più, ma il guadagno è più basso del previsto, quindi c’è il rischio che il servizio vada in perdita e, alla lunga, debba essere costretto a mettere in atto sistemi che non consentano la condivisione.

Insomma, il tutto è a vostra discrezione: se credete che sia giusto condividere la spesa di un servizio online con familiari, amici o completi sconosciuti, esistono diversi sistemi che vi consentono di farlo, per esempio Together Price, che almeno vi offre una piattaforma di condivisione ben fatta, in Italiano, semplice da comprendere e da usare. Se proprio dovete, almeno fatelo per bene 😉





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